Sunday, November 26, 2006

LA BADIA E DANTE, 26 novembre 2006

‘Ave, o Maria, piena di grazia; il Signore è con te; tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen’.


Signorelli, Dante

Alinari

Augustus Hare

Oggi parlerò di Dante Alighieri, della Divina Commedia e di Firenze. Giovanni Boccaccio tenne le letture della Commedia di Dante nella Badia Fiorentina proprio perché il giovane Dante visse accanto a questa chiesa. Durante la sua fanciullezza deve aver udito i monaci che cantavano la Liturgia della Santa Messa e l’Ufficio delle Ore per glorificare Dio, con le Lodi, la Terza, la Sesta, la Nona, i Vespri e la Compieta, come hanno fatto per secoli prima e dopo di lui. E noi stessi possiamo udire questi canti gregoriani e questi salmi in latino intrecciati nelle pagine in italiano del Purgatorio e del Paradiso. In Inferno manca la musica, in particolare la musica sacra; in quel luogo possiamo udire soltanto rumori, sospiri, grida, urla disperate, i suoni cacofonici di quelli che sono lontani da Dio per propria scelta.

Al tempo di Dante questa chiesa, parte di un antico monastero, era molto diversa, anche più bella. Dopo la sua fanciullezza, ma prima di Boccaccio, fu riedificata da Arnolfo di Cambio e raccoglieva numerose e bellissime opere di Giotto con lo sfondo oro che brillava al lume delle candele. La chiesa in epoca più tarda fu trasformata completamente in stile barocco e prevaleva il chiaroscuro; fu rimossa la bellissima, tenera Madonna con Bambino di Giotto che era posta sull’altare, un dipinto che sembrava compendiare, come quello di Orsanmichele, le numerosissime similitudini presenti nella Commedia che parlano di una madre, del suo latte, e di un bambino. Il dipinto è ora conservato alla Galleria degli Uffizi: si può sì vedere, ma in un freddo museo.



Giotto

Petter Sammerud

Bruno Vivoli

Dante afferma che la sua Commedia è scritta in italiano, e non in latino, perché sia comprensibile non solo ai potenti ma anche alle donne, ai ragazzi, ai poveri, alla sua propria città e all’Italia tutta. Come il Vangelo rivelato agli umili. Come le cantiche di San Francesco. Dante non ha scelto di scrivere una tragedia sui re che fondano il loro agire sul falso potere, ma ha scelto di cantare una commedia, un Magnificat. Egli crea tre cantiche in volgare, dove in cinquecento similitudini sparse in tutto il testo troviamo artigiani e contadini, donne con i loro bambini, un vecchio sarto con l’ago in mano, una madre che dondola la culla del suo bambino, peregrini che vengono da lontano, operai che lavorano in una fornace e tante altre figure tratte dal mondo reale. Dante ricorda il pane di Firenze, che è senza sale ma dura a lungo. L’altrui pane, invece, sa di sale; non è così dolce, e presto ammuffisce. Nel poema vediamo noi stessi come in uno specchio che riflette anche questa città. Una commedia, osserva Dante, inizia nell’acerbità ma termina prosperamente. La Divina Commedia è cristiana, non pagana. E’ il poema della speranza. E’ il poema sacro che trasforma Firenze nella città di Dio. E’ il più famoso poema del mondo.

Dante scrisse la Commedia quando era in esilio da Firenze, ma con la memoria commossa di questa Badia, della piccola e antichissima chiesa irlandese di San Martino, della Torre della Castagna dei Priori, del Bargello (edificato dal padre di Arnolfo di Cambio), del Palazzo del Popolo e del Duomo (entrambi progettati da Arnolfo). Tutte queste opere erano racchiuse nella cinta muraria guelfa di Arnolfo, edificata utilizzando le pietre delle torri della superbia dei ghibellini che erano state abbattute dalla Repubblica del Primo Popolo di Firenze per la difesa comune. Questa bellissima cerchia muraria con le sue porte e le sue torri di difesa fu poi abbattuta nell’Ottocento da Giuseppe Poggi per fare posto ai viali, sul modello dei boulevard della moderna Parigi. La cartolina riproduce il dipinto custodito in Duomo, e mostra Dante fuori dalle mura che come esule spiega la Divina Commedia a Firenze, sul lato sinistro è raffigurata la porta dell’Inferno, alle spalle del poeta il monte del Purgatorio, e nella parte superiore sono raffigurati i cieli del Paradiso. Le tre porte, la porta di Firenze, quella dell’Inferno e del Purgatorio, sono le porte di Arnolfo.



Domenico da Michelino, Dante and Florence, Cathedral

E sulla porta arnolfiana dell’Inferno Dante ha scritto:

Per me si va nella città dolente,
Per me si va nell’etterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto Fattore:
Fecemi la Divina Potestate,
La Somma Sapienza e’l Primo Amore.

Ma quando assieme al poeta varchiamo la porta arnolfiana del Purgatorio lasciamo indietro tutta questa angoscia per entrare nell’amore.

La Commedia è un poema che racconta dello stesso esilio di Dante, esilio che diventa pellegrinaggio, prima nell’oscurità dell’Inferno, dove il poeta come peccatore incontra molti altri peccatori, poi in Purgatorio, dove il poeta condivide la sua pena con quella degli altri, e infine in Paradiso, dove sale alla visione celeste con Beatrice Portinari, figlia di Folco Portinari, fondatore dell’Ospedale di Santa Maria Nuova. La Commedia è il poema della guarigione di Firenze. Nell’ultima Cantica del Paradiso Dante e noi incontriamo San Bernardo che rivolge un inno alla Madonna – la scena sarà poi raffigurata da Filippino ne La Visione di San Bernardo, un dipinto che fu trasferito in questa chiesa nel 1530, e che il professore Giorgio La Pira, sindaco di Firenze e fondatore della Repubblica di San Procolo, amò molto.




Alinari

Filippino, Vision of Saint Bernard, Badia

Alcune parole di quell’inno del Paradiso sono scolpite sulla lapide posta sulla facciata della Misericordia, parole che spesso leggo ai miei ospiti stranieri, e volgendo poi lo sguardo posso assieme a loro ammirare la bellissima Santa Maria del Fiore:

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.


Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo
Come era in principio, ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen.

L’eterno riposo dona loro, o Signore,
e splenda ad essi la luce perpetua.
Riposano in pace. Amen.

Buona Domenica a tutti voi.

Friday, November 17, 2006

ANGELICOS, LOST AND FOUND


Dearworthiest Godfriends,

Last night and the night before were the lecture given by Michael Liversidge of Bristol University on two Fra Angelico paintings he has found.

They had actually been owned by my paleography teacher, Professor Jean Preston, who had acquired them in California where she was Curator of the Ellesmere Chaucer Manuscript at the Huntington Library, then brought to Princeton by her, where she was Curator of Rare Books and Manuscripts and where I first saw them, then finally brought to Oxford where she retired.

Jean was never concerned about monetary value, loving her many fine possessions for their beauty, their meaning, sharing them with her friends. Among them were the Kelmscott Chaucer, books by Eric Gill, a Pre-Raphaelite painting.

When I first saw the Fra Angelicos I thought they were real, while she thought they were nineteenth-century fakes, believing instead her fake ivories, made in the nineteenth-century, were medieval. All jumbled together in a small comfortable house with no concern about security, whatsoever.

I consulted with Jean on the Julian edition and it was she who identified the hand of one of the Julian manuscripts as that of a Syon Abbey nun. Her knowledge of paleography was superb, particularly of English hands.

Somehow there is a sadness that in having identified these two small panels as from the Pala of San Marco they are now in the world of commerce and wealth. Once they were for the people, and as part of the Canon of the Mass, two Dominican saints, hallowing Florence. Even the central panel shows Saints Cosmos and Damian, St Cosmos turning towards the Medici with a look of reproach. Fra Angelico painted these in Cortona in answer to the Cosimo de' Medici commission. It is in Rome he paints the most beautiful San Lorenzo giving the wealth of the Church to the poor, it is in outlying churches to Florence that he paints the most sacred Annunciations, it is in his own Priory of which he was Prior, at San Domenico, nestled beneath Fiesole, that he paints the dead Christ on the Cross, hidden for centuries under white wash, its present Prior giving me this for you.



Bless you,
Julia